Patrizia Borrelli, Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Insegnante di Mindfulness e del Programma MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction), Certificata IPHM (International Practitioners of Holistic Medicine).
Sono nata a Milano, città nella quale lavoro.
Sono iscritta all’ordine degli Psicologi della Lombardia dal 2006 al numero 03/102019.
Mi occupo di famiglie, coppie, adulti e adolescenti.
Nella mia professione ho maturato particolare esperienza in ambiti relativi alle difficoltà relazionali ed affettive, all’ansia, agli attacchi di panico, alle fobie, alle ossessioni e compulsioni, alla depressione e alla mancanza di autostima.
Sono socia fondatrice della Cooperativa Sociale Nivalis di Milano, che dà sostegno e aiuto a famiglie che vivono situazioni di disagio e sofferenza. Mi occupo inoltre di formazione e di supervisione ad operatori del sociale.
Il mio percorso formativo è stato alimentato da una grande curiosità nei confronti dei processi psichici e mentali dell’individuo, verso il comportamento umano individuale e di gruppo ed i rapporti che il soggetto instaura con l’ambiente circostante ed il suo sistema di appartenenza.
Una passione per la materia che mi accompagna ogni giorno nell’incontro con il paziente.
Nel 2001 ho conseguito l’abilitazione al patentino del FACS (Facial Action Coding System, P. Ekman) presso il Centro Studi e Ricerche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Mi sono laureata in Psicologia sociale e dello sviluppo nel 2004, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (con una tesi dal titolo: “L’umorismo come moderatore dello Stress. La Clownterapia“).
Nel 2006 ho frequentato un corso di formazione per operatrici volontarie presso la Casa delle donne maltrattate di Milano.
Nel 2011 ho conseguito la specializzazione in Psicoterapia Sistemico Relazionale presso la sede di Torino del Centro Milanese di Psicoterapia della Famiglia (Associazione culturale Episteme), discutendo una tesi dal titolo “Storie di tossicodipendenza, una lettura sistemico relazionale”.
Grazie al mio lavoro con le famiglie sono cresciuta personalmente e professionalmente; il confronto con i miei pazienti ha contribuito ad ampliare il mio sguardo, a potenziare la mia capacità di ascolto, empatia, e la mia competenza cognitiva, affettiva e relazionale.
Sono passati parecchi giorni da quando ho incontrato la prima famiglia, ad essa se ne sono aggiunte molte altre e seppur ognuna mantenendo la propria unicità, con il proprio modo di gestire la genitorialità, di svolgere ruoli e funzioni familiari, di intrattenere rapporti con il contesto sociale, di praticare la cura dei legami affettivi, la maggior parte con un elemento comune, il fatto di aver radicata in sé la convinzione che il proprio disagio sia insito nella propria natura e per tale motivo che da esso non ci sia scampo.
Una sorta di rassegnazione al proprio destino, ma anche un alibi che lascia intravedere la paura di cambiare, di spezzare quell’equilibrio mantenuto da un sintomo che, seppur portatore di grande sofferenza, costituisce una certezza, forse l’unica, il nodo che tiene uniti i membri della famiglia.
Forse è proprio questa una delle prime sfide che mi sono trovata ad affrontare con le famiglie che incontro: vincere le loro resistenze ed aiutarle a comprendere che, insieme, è possibile provare a scrivere una storia diversa, perché un problema non ha valore assoluto, origine genetica e non è insito per natura nelle cose o negli individui, ma in esso gioca un importante fattore la componente situazionale, di relazione e quella sociale.
Cardine del mio lavoro è la convinzione che le persone abbiano dentro di sé le risorse e le capacità per superare la fase di stallo in cui si trovano e tornare ad essere attori sociali.